giovedì 13 dicembre 2007

...non bruciamoci il futuro!



Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri il comunicato del "comitato per il diritto alla salute" di Macomer, che stà portando avanti la battaglia contro l'inceneritore di Macomer, ormai in funzione da 20 anni, e che oggi dopo il fallimento del progetto di Ottana si cerca di ammodernare e ampliare!






COMITATO PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
Il Comitato per il diritto alla salute nasce dalla convinzione che è sempre più frequente e
inquietante l’aumento di malattie (tumori e altre patologie) nel nostro territorio.
Le cronache italiane ed internazionali denunciano sempre più spesso danni per la salute
causati dagli impianti di incenerimento dei rifiuti soprattutto quando sono costruiti presso i
centri abitati.
E’ ormai certo che il “termovalorizzatore” di Ottana, fortunatamente, non verrà costruito.
Non è altrettanto certo che l’inceneritore di Tossilo non verrà ampliato e nemmeno si parla
della sua chiusura.
Come singoli cittadini ci sentiamo dire, ormai da anni, che non esiste alcuna prova di danni
per la salute, ma non sentiamo mai dire ufficialmente che esistono prove di non
pericolosità.
Riteniamo che sia giunto il momento di esigere garanzie documentate e di chiedere
approfondite informazioni sulla ventennale attività dell’inceneritore di Tossilo, in risposta
alla crescente preoccupazione della popolazione;
La difesa della nostra salute non deve essere oggetto di scontri tra schieramenti politici che,
francamente, non interessano affatto di fronte a timori di questo genere.
Il comitato chiede maggiore tutela per la salute pubblica, valore assoluto e primario, perciò
NOI CITTADINI
chiediamo al Sindaco, garante della salute collettiva, di
- organizzare al più presto un incontro fra gli amministratori del territorio, aperto
alla cittadinanza, per fornire informazioni sul futuro dell’inceneritore e della discarica di
Monte Muradu;
- domandare con rinnovata determinazione un indagine epidemiologica sul territorio al
fine di evidenziare l’incidenza di gravi patologie;
- verificare la presenza di nanopolveri: recenti studi, mai smentiti dagli organi ufficiali di
controllo, affermano che gli impianti di nuova generazione producono particelle molto più
pericolose perché talmente piccole da non poter essere trattenute dai filtri;
- effettuare urgentemente analisi dei terreni, delle carni e dei latticini per verificare
l’eventuale accumulo di sostanze cancerogene, come le diossine, e di renderne noti i
risultati;
- promuovere con maggiore energia la raccolta differenziata ed esigere che venga
attuata in tutti i Comuni che conferiscono i loro rifiuti all’impianto di Tossilo;
- sospendere, in attesa dei risultati di queste richieste, ogni modifica o potenziamento
dell’impianto di Tossilo ed impedire che ciò avvenga senza prima procedere ad una
consultazione della volontà popolare poiché tali decisioni vanno inevitabilmente a ricadere
sulla salute pubblica.
Il comitato può essere contattato:
tramite casella di posta elettronica mi.rifiuto@tiscali.it
telefonicamente ai numeri 328 4530989 - 333 2517453

martedì 11 dicembre 2007

Sinistra: Una grande assemblea popolare


Dal sito nazionale del Partito



di Walter De Cesaris (segreteria nazionale Prc-S.E.)

Una due giorni come una assemblea popolare. Migliaia di persone che hanno invaso la nuova Fiera di Roma al di là di ogni aspettativa. Una discussione vera, attraversata dalle pulsioni, dai sentimenti, dalle opinioni di dirigenti, militanti, donne e uomini che si sono ritrovati assieme e hanno attraversato l’assemblea come uno spazio comune.Se qualcuno pensava a un incontro di stati maggiori, a una cerimonia retorica e scontata in cui tutto era deciso prima, alla fredda rappresentazione di una proposta timida e contraddittoria, è stato clamorosamente smentito.Le stesse modalità di svolgimento delle due giornate romane hanno segnato questo carattere aperto, partecipato, non scontato.A cominciare dai dibattiti nei 9 tavoli tematici del sabato, a cui se ne sono aggiunti altri, nati spontaneamente, tra cui quello autoconvocato dalle associazioni e dai movimenti che ha discusso fino a tarda sera e ha elaborato un documento che è stato letto all’assemblea plenaria del giorno dopo.
Una modalità aperta che ha reso l’idea di freschezza e vivacità che ha colpito anche i giornalisti che vagavano nei corridoi e entravano e uscivano dalle sale gremite dei workshop. Come è stato scritto, “si respirava aria frizzante di champagne di buona marca”. Un evento intenso ed emozionante ma per nulla pacificato o pacificatorio. Il conflitto, anzi i conflitti, lo hanno attraversato profondamente. Il conflitto che è stato proposto dalle femministe che hanno contestato , non solo le modalità di svolgimento, ma la natura del processo unitario in atto, chiedendo una svolta radicale nella direzione dell’assunzione fino in fondo della cultura della differenza non come aggiunta ma come costitutiva della sinistra. Una contestazione che ha attraversato la due giorni e che ha costruito uno spazio di discussione del tutto nuovo.Il conflitto che è stato proposto dalla delegazione numerosa dei comitati contro la nuova base di Vicenza e che ha chiesto una coerenza e una assunzione di responsabilità da parte della sinistra. Una risposta che è venuta dalla richiesta di moratoria che è stata presentata dai Ministri della sinistra e dalla riaffermazione dell’impegno a fianco della popolazione vicentina.
Molti corvi hanno volato sopra la Fiera di Roma, cercando di determinare una depressione dell’evento. Anche su questo, la smentita non poteva essere più sferzante. Ingrao non solo non è voluto mancare ma, anche lui, vecchio disobbediente, ha sconvolto la scaletta degli interventi dell’assemblea, chiedendo la parola, in maniera non rituale. Non solo non si è dissociato, come volevano fargli dire, ma ha incoraggiato ad andare avanti con più decisione, con maggiore forza.Gli interventi dei segretari delle forze politiche, quelli degli altri esponenti della sinistra, come Nichi Vendola, di alcuni tra i più importanti esponenti del mondo del lavoro, come Gianni Rinaldini, del movimento pacifista, come Lisa Clark, del movimento per i diritti civili, come Aurelio Mancuso, del mondo della cultura impegnato nei movimenti, come Paul Ginzburg, sono stati sicuramente importanti per segnare il senso di un impegno che parte. Non vorrei, però, che fosse messo da parte il lavoro di discussione dei tavoli tematici. Lì, tra quelli ufficiali e quelli autogestiti, hanno preso la parola circa 500 persone, un materiale importante, da non disperdere. Di quel materiale saranno fatti report che dovranno essere messi nel circuito partecipativo che prenderà avvio da questa due giorni.
Ebbene si, l’8 e 9 a Roma, tutto è stato meno che l’avvio di una fusione a freddo. E’ stato un vero successo. Ma, dobbiamo avere bene in testa che siamo solo all’inizio. Le vere difficoltà cominciano ora.Dobbiamo praticare gli impegni assunti a Roma: assemblee in tutte le città, aperte ad associazioni, movimenti, donne e uomini singoli, un vero confronto sulla proposta carta di intenti. Entro febbraio, nel fine settimana tra il 23 e 24, un vero pronunciamento del popolo della sinistra.E, dentro questo processo di costruzione, l’apertura di un vero confronto sul governo, le sue priorità, l’agenda delle cose da fare. La sinistra non si costruisce a tavolino o in laboratorio ma dentro la ripresa del conflitto sociale. Temi fondamentali come la questione della sicurezza del lavoro, del salario, dei diritti civili da estendere, della pace e della riduzione delle spese militari sono centrali.

La costruzione del soggetto unitario, plurale, federale della sinistra serve a questo oppure non serve.A nessuno è chiesto di sciogliersi, nessuno annette le altre culture politiche, il termine federale non si rivolge solo alle forze politiche ma anche ad associazioni e movimenti, il carattere popolare chiede che anche chi non è iscritto ai partiti possa avere piena cittadinanza.L’8 e 9 dicembre a Roma, non è stato altro che un debutto. Il bello comincia adesso ed è nelle nostre mani.

giovedì 6 dicembre 2007

No D-10

Sabato 8 Dicembre
CONTROVERTICE
Dopolavoro ferroviario (ex cinema Adriano)
Via Sassari 12- CA
Domenica 9 Dicembre
MANIFESTAZIONE
Concentramento ore 15,00 Piazza Yenne
Lunedi 10 Dicembre
CENA POPOLARE
Dalle ore 20,00 Terrapieno- Viale Regina Elena
Per Maggiori Informazioni visitate il sito;

Chavez, il socialismo che avanza!



I risultati ufficiali resi noti stanotte a Caracas, dicono che i NO alla trasformazione in senso socialista della Costituzione bolivariana del 1999, voluta dal presidente Hugo Chávez, avrebbero vinto con una differenza di appena 124.962 voti su quasi nove milioni, ottenendo il 50.7% di voti contro il 49,3% di Sì. Dato decisivo è stato la crescita dell'astensione, al 45% contro il 30% circa di tutte le consultazioni importanti degli ultimi anni.
di Gennaro Carotenuto






Il presidente Chávez ha riconosciuto la sconfitta, ma non ha avuto bisogno di invitare alla calma i suoi giacché anche quella di ieri è stata una giornata elettorale tranquilla a Caracas, e un esercizio di democrazia piena, inclusiva, alla quale da meno di un decennio a questa parte partecipano anche gli esclusi di sempre.
IL 51% NON BASTA Il risultato del referendum induce a due riflessioni importanti, la prima politica, la seconda mediatica. Il voto di ieri ha detto che la proposta integrazionista bolivariana, sia sociale che regionale latinoamericana, raccoglie il consenso dei due terzi dei venezuelani, mentre la trasformazione in uno stato socialista perde spezzoni di consenso soprattutto nell'ala socialdemocratica del movimento. E' come se il progetto bolivariano avesse ieri segnato il suo confine massimo, la sua linea di massima espansione.
Le prossime settimane diranno se sarà più forte la possibilità di riassorbimento dell'ala socialdemocratica nel movimento bolivariano, o se premierà l'avanguardismo dell'ala rivoluzionaria, che sostiene che non c'è rivoluzione per via elettorale. Tale ala è stata finora sempre controllata dai ripetuti successi e dagli evidenti miglioramenti materiali nelle condizioni di vita delle classi popolari in questi anni di governo bolivariano.


Il dato politico più significativo è stato allora rilevato dallo stesso presidente nel suo discorso di stanotte: "in una situazione di sostanziale pareggio è preferibile aver perso piuttosto che aver dovuto sostenere e gestire una vittoria così importante con un margine così stretto". E' un riflesso allendista e ancor di più berlingueriano: "la rivoluzione per via elettorale non si può fare con il 51% dei voti". Durante la campagna elettorale cilena del 1970 i Quilapayun cantavano: "questa volta non si tratta di fare un presidente (che può e deve governare con il 51% dei voti), ma di fare un Cile ben differente". Anche in Venezuela ieri non si trattava di fare un presidente, ma di trasformare il paese. Cosa che non si può fare in pace e in democrazia -che piaccia o no, la caratteristica principale del chavismo- con un margine ristretto di voti.
Ciò detto, non può passare una lettura riduzionista della sconfitta di ieri. Chávez ieri ha fatto il passo più lungo della gamba e riassorbire il contraccolpo della sconfitta non sarà facile. Invece di consolidare il processo è partito all'assalto del cielo e per il momento ha dovuto rinunciare.
La sconfitta elettorale rappresenta ora un'incognita e probabilmente non era necessario sottoporvisi per intuirlo, ma in questi anni un elettoralismo esasperato è stato l'arma legittima e legittimante per difendersi dalla continua manipolazione ed aggressione contro il movimento bolivariano.
L'opposizione segna così un punto dopo anni di sconfitte. Continua però ad essere impresentabile, anche nelle proprie parti meglio spendibili, come testimonia un movimento studentesco farsescamente preoccupato perché l'Università resti elitaria e non diventi di massa (sic!).
MA LA DITTATURA DOV’È? E veniamo al secondo punto, non meno importante del primo. Dunque la CNE (la commissione elettorale), non è un burattino del regime, se tranquillamente verbalizza una sconfitta per poche migliaia di voti. Dunque Hugo Chávez non è un feroce dittatore se ha tranquillamente riconosciuto la sconfitta e non ha scatenato le millantate milizie. Balle, tutte balle e qualcuno -se non fosse troppo in malafede- lo dovrebbe ammettere, dalla stampa venezuelana a quella internazionale a quella italiana, i Pierluigi Battista, i Gianni Riotta, gli Omero Ciai, le Angela Nocioni e ainda mais.

La sconfitta di strettissimo margine nel referendum svela nella maniera più chiara la bassezza di un decennio di manipolazioni dell'informazione in senso antichavista, l'invenzione a sangue freddo di una inesistente dittatura chavista, la balla della presunta mancanza di libertà d'espressione in Venezuela. Dov'è la dittatura? Dov'è il regime? Dov'è la repressione? Il giornalismo all’anglosassone non si faceva con i fatti piuttosto che con le opinioni? Forza, fuori i fatti!
In Venezuela, giova ricordarlo una volta di più, ci sono decine di partiti di opposizione, le elezioni sono le più monitorate del mondo, continua ad esserci un semimonopolio mediatico di TV e giornali dell'opposizione, c'è piena libertà di stampa e perfino piena libertà di mercato. L'opposizione continua ad avere dalla sua l'appoggio degli Stati Uniti, delle gerarchie cattoliche, della confindustria locale, dell’FMI e delle multinazionali straniere. Guarda caso gli stessi soggetti che organizzarono e sostennero il golpe dell'11 aprile 2002.
La sconfitta nel referendum svela allora in maniera chiara che contro la democrazia venezuelana è stato costruito un cordone sanitario di menzogne teso ad impedire con ogni mezzo che l'infezione di un governo che ha fatto dell'integrazione sociale e regionale la propria ragione d'essere si espandesse.
E allora quel che emerge è altro ed è gravissimo. L'antichavismo dei grandi media di comunicazione è sempre stato un antichavismo ideologico. In questi anni non hanno mai raccontato il Venezuela bolivariano, non hanno mai criticato Chávez per i mille difetti o errori che può avere commesso in questi anni. Quelli non importavano; era più facile costruire una maschera di bugie intorno al verboso negraccio dell’Orinoco, più che parlare di cose concrete, del fallimento storico del neoliberismo, per spiegare cosa fosse la democrazia partecipativa e degli sforzi sovrumani per restituire dignità a milioni di vittime del modello instaurato in America latina.
Oggi si svela chiara come il sole la grande contraddizione del sistema mediatico mainstream: i grandi media commerciali non sono mai stati indipendenti ma rispondono ideologicamente al pensiero unico neoliberale. Siccome il pensiero unico si è autoattribuito il copyright del termine democrazia chiunque osi mettere in dubbio che neoliberismo e democrazia siano sinonimi va castigato, denigrato, demonizzato.
E allora proprio la sconfitta nel referendum si converte invece in un'ulteriore legittimazione per il movimento integrazionista di tutta l'America latina della democrazia venezuelana e di Hugo Chávez in particolare. E chi in questi anni ha sparso veleno e menzogne e lo ha descritto come un regime e una dittatura dovrebbe cospargersi il capo di cenere. Sarà dura...
http://www.gennarocarotenuto.it/

La sinistra si confronta, la sinistra che discute !!


"Il progetto del governo è fallito, noi siamo già oltre l'Unione" Intervista a Fausto Bertinotti


di MASSIMO GIANNINI
"Dobbiamo prenderne atto: questo centrosinistra ha fallito. La grande ambizione con la quale avevamo costruito l'Unione non si è realizzata...". Alle cinque del pomeriggio, nel suo ufficio a Montecitorio, Fausto Bertinotti sorseggia un caffè d'orzo, e traccia un bilancio amaro di questo primo anno e mezzo di governo.
È presidente della Camera, ci tiene a mantenere il suo profilo istituzionale, non vuole entrare in campo da giocatore. Ma le sue parole, quelle del vero leader della sinistra radicale, alla vigilia del meeting della Cosa Rossa di sabato prossimo, lasciano un solco profondo nel cammino della legislatura e nel destino delle riforme.
Bertinotti non fa previsioni, sulla durata del governo. "Non posso, non voglio", dice. Ma fa un ragionamento politico per molti versi "definitivo", sullo stato della maggioranza. "Voglio premetterlo: non ci deve essere nervosismo, da parte di Prodi. Usciamo da questa prigione mentale: io non so quanto andrà avanti, può anche darsi che duri fino alla fine della legislatura, e non ho nulla in contrario che questo accada. Ma per favore, prendiamo atto di una realtà: in questi ultimi due mesi tutto è cambiato". È nato il Pd, e la Cosa Rossa viaggia verso lidi inesplorati. Nel frattempo, Prodi ha accontentato i "moderati", sia sulla Finanziaria, sia sul Welfare.
Per il capo di Rifondazione ce n'è abbastanza per dire che "una stagione si è chiusa". Ora niente sarà più come prima: "Un governo nuovo, riformatore, capace di rappresentare una drastica alternativa a Berlusconi, e di stabilire un rapporto profondo con la società e con i movimenti, a partire dai grandi temi della disuguaglianza, del lavoro, dei diritti delle persone: ecco, questo progetto non si è realizzato. Già questo ha creato un forte disagio a sinistra. Poi si sono verificati fatti che lo hanno acuito. Ne potrei citare centomila...". Risultato: "Abbiamo un governo che sopravvive, fa anche cose difendibili, ma che lentamente ha alimentato le tensioni e accresciuto le distanze dal popolo e dalle forze della sinistra".
Questa, per Fausto il Rosso, è "la condizione reale". E forse irreversibile. Bertinotti cita Lenin, e la differenza tra strategia e tattica. "Il grande tema, per la sinistra radicale, è uno solo: l'autonomia. Torna una grande questione, che nacque nel '56, con i fatti di Ungheria, con la rottura nel Pci, con lo scontro Nenni- Togliatti. Lì nasce una grande cultura politica, una storia enorme, Riccardo Lombardi. È l'autonomia di un progetto, che da allora la sinistra ha cancellato, rimosso. Oggi, per la sinistra radicale, il tema si ripropone. Devi vivere nello spazio grande e nel tempo lungo, per creare una grande forza europea per il 21° secolo. Se questa è l'ambizione, allora tutto va ripensato. Essere o meno alleati del Pd, stare o meno dentro questo governo: tutto va riposizionato in chiave strategica".
Questo riposizionamento strategico, secondo Bertinotti, è appena iniziato. "Alla fine del percorso - chiarisce il leader - io voglio riconoscere al Pd il diritto a trovarsi gli alleati che vuole, ma voglio garantire a noi il diritto di tornare all'opposizione". Dunque la stagione dell'Unione è al capolinea? "Intellettualmente io sono già proiettato oltre. Ma politicamente ancora no". E qui torna Lenin. Fissata la strategia del tempo lungo, c'è da occuparsi di tattica "hic et nunc", come dice il presidente della Camera. La tattica impone di combattere, ancora, dentro il quadro delle alleanze consolidate, e dentro il perimetro del governo in carica. Ma ad alcune condizioni irrinunciabili: "So bene, e ho persino orrore a pronunciare il termine: "verifica". Ma è chiaro che a gennaio serve un confronto vero, che prende atto del fallimento del progetto iniziale ma che, magari in uno spettro meno largo di obiettivi, rifissa l'agenda su alcune emergenze oggettive. E viene incontro alle domande della società italiana, con scelte che devono avere una chiara leggibilità "di sinistra". So altrettanto bene che queste scelte devono essere assunte dall'intera coalizione. Ma stavolta, davvero hic Rhodus hic salta. Sul Welfare, come si è visto, la sinistra radicale non ha aperto nessuna crisi. Ciò non toglie che il governo ha ormai molto meno credito a sinistra di quanto non lo avesse qualche mese fa...".
Bertinotti rinuncia a fare l'elenco delle "centomila cose" su cui il centrosinistra ha rinunciato a imporre la sua visione ("dalla laicità dello Stato alla politica estera"). "Ma se si vuole tentare una nuova fase della vita del governo, vedo due terreni irrinunciabili: i salari e la precarietà". È soprattutto sui primi, che il "padre nobile" del Prc fonda il suo ultimo avviso a Prodi: "Dai sindacalisti a Draghi, tutti dicono che la questione salariale è intollerabile. Ebbene, io mi chiedo: questa denuncia induce il governo a prendere qualche iniziativa, oppure no? Il 65% dei lavoratori italiani è senza contratto: posso sapere se questo per il governo è un problema, oppure no? In Francia Sarkozy ha aperto un confronto molto aspro, lanciando l'abolizione delle 35 ore e dicendo che se lavori di più guadagni di più: posso sapere se in Italia, dai metalmeccanici ai giornalisti, il governo ritiene ancora difendibili i contratti nazionali di categoria, oppure no? Non c'è più la scala mobile, ma intanto i prezzi stanno aumentando in modo esponenziale: tu,governo, non solo non vuoi indicizzazioni, ma con la fissazione dell'inflazione programmata hai contribuito pesantemente a tenere bassi i salari. Dunque c'entri, eccome se c'entri. E allora, in attesa di sapere cosa farai sui prezzi, posso sapere cosa pensi del problema dei salari? E attenzione: qui non basta più ripetere banalmente che "bisogna rinnovare i contratti". Io voglio sapere se il governo ritiene giuste o meno le rivendicazioni. Voglio sapere se ritiene opportuno restituire il fiscal drag, o se invece si vuole assumere la responsabilità di continuare a non farlo. Insomma, io voglio una bussola. Voglio decisioni che rimettano il centrosinistra in sintonia con la parte più sofferente del Paese. Che altro devo dire? Ridateci Donat Cattin...".
Dunque, appuntamento a gennaio. Se Prodi non raccoglie, questo invito potrebbe essere davvero l'ultimo. Questione di tattica, che per la Cosa Rossa, prima o poi, dovrà necessariamente coincidere con la strategia. Ma allo stesso modo, per Bertinotti, la tattica offre un'altra formidabile opportunità, stavolta a tutto il sistema politico: il dialogo sulle riforme. Stavolta l'accordo è "una possibilità reale". Nei due poli "si è affermata una larga condivisione su due punti essenziali. Primo: l'attuale sistema istituzionale ed elettorale è un fattore di riproduzione della crisi politica. Dalla Finanziaria al Welfare, tutto dimostra che il bicameralismo perfetto non funziona più. Secondo: la lunga transizione dalla Prima Repubblica è fallita. La barca si è messa in moto nel '93, ma non ha raggiunto l'altra riva, è in mezzo al fiume e va alla deriva con un duplice difetto: le maggioranze coatte (buone per vincere ma non per governare) e il trasformismo endemico.
Insomma, questo sistema bipolare è fallito, e tutte le forze politiche hanno capito che se non va in porto una riforma, la crisi istituzionale diventa inevitabile, e travolge tutto. Si apre un panorama da Quarta Repubblica francese".
Di qui la convergenza possibile su un nuovo sistema elettorale. "Il sistema proporzionale, con clausola di sbarramento e senza premio di maggioranza, è una soluzione ragionevole", sostiene Bertinotti. "Soprattutto, è coerente con l'evoluzione del quadro politico: il Pd, il Partito del popolo del Cavaliere, la Cosa Rossa, lo spazio al centro. Siamo in una fase costituente di nuove soggettività politiche. La legge elettorale che scegli non è più levatrice del cambiamento, ma è una sua conseguenza. Con il proporzionale torni alla ricostituzione di alcuni fondamenti di democrazia attiva, che sentiamo ormai vacillare. Torni alla radice della Costituzione di 40 anni fa, torni a individuare nei partiti il cardine del sistema. Sei dentro la nervatura della democrazia, che non può non fondarsi sulla rappresentanza".
A Rifondazione il ritorno al proporzionale è sempre piaciuto. Normale che il suo leader lo benedica. Meno normale, in questo clima di sospetti, è che benedica anche l'apertura del tavolo con Berlusconi: "Senta, qui bisognerà prima o poi che un certo centrosinistra decida se il Cavaliere è un protagonistadella politica italiana, oppure no. Io, che al contrario di Blair considero quanto mai attuale il cleavage destra/sinistra, penso che lo sia. Penso che sia un animale politico, che muove da processi reali di una parte della società, che incorpora l'antipolitica ma dentro una soggettività politica, chiaramente di destra. E penso che Berlusconi abbia preso atto della crisi del sistema e della crisi del centrodestra. Dunque, se rileggo le sue mosse, considero attendibile che anche lui, stavolta, cerchi un accordo per rinnovare il quadro politico-istituzionale".
Via libera alle riforme, via libera alla trattativa con il Cavaliere. Anche in questo caso, Prodi non deve innervosirsi. Finalmente è passata l'idea che il dibattito sulla legge elettorale non pregiudica l'esistenza del governo. "Non ci sono due maggioranza diverse, una per il governo, una per la riforma, che si escludono l'una con l'altra". Ma certo, se vuole durare, il Professore deve imprimere una svolta fin dai primi giorni del 2008. In caso contrario, sarà davvero la fine. L'ultima battuta di Fausto dice tutto: "Come vedo Prodi, mi chiede? Con tutto il rispetto, di lui mi viene da dire quello che Flaiano disse di Cardarelli: è il più grande poeta morente...". Visse ancora alcuni anni. Ma gli ultimi furono terribili.

venerdì 30 novembre 2007

In Rifondazione adesso la discussione è aperta


Dal sito nazionale del Partito


di Anubi D’Avossa Lussurgiu
«Basta»: è la parola chiave per capire cosa accade nella maggiore forza di sinistra della coalizione sulla quale sinora, sino al voto di ieri sera compreso, si è sorretto il governo Prodi. In Rifondazione comunista, pur con conclusioni e ragionamenti diversi fra il gruppo dirigente del partito come fra i più che nel gruppo della Camera hanno scelto il sì alla fiducia e dall’altra parte quanti hanno proposto il voto contrario, quel concetto, «basta», è trasversale.Lo esprime lo stesso segretario nazionale Franco Giordano nella dichiarazione di voto, con le parole «una fase si è definitivamente chiusa» riferite al senso della «verifica» richiesta per gennaio e dalla quale «dipenderà la nostra collocazione politica». Che dunque non è più scontata, intendendo la collocazione nel governo: può rideterminarsi, diversamente. E infatti il «basta» echeggia anche, stavolta nel senso della constatazione oggettiva, in altre parole di Giordano, quelle che riguardano il giudizio sulla subalternità a Confindustria esibita dal governo: «Non siete liberi: quando la politica non è libera, è una politica morta».
E’ il riflesso, d’altronde, della discussione nel gruppo dirigente, che proprio Giordano definisce «vera». Serrata, insomma. Come d’obbligo nella situazione attuale. La cui asprezza è stata registrata, soggettivamente, proprio dal confronto apertosi l’altro ieri nel gruppo del Prc a Montecitorio. Un’asprezza che, votata la fiducia da tutti “per disciplina collettiva”, con l’eccezione di Salvatore Cannavò che per Sinistra critica ha annunciato anche il no di Franco Turigliatto al Senato, resta adesso tutta da affrontare nelle prossime scelte. A partire, con un gioco di parole, dalla verifica della “verifica”.Sulla richiesta della verifica «politico-programmatica» per gennaio, è chiaro che chi ritiene fosse già matura e motivabile una rottura non condivide la dilazione temporale, sia pure aperta anche alla possibilità d’una crisi. E come tutti i media ieri riportavano questo riguarda, conti della votazione nel gruppo martedì alla mano, almeno dieci degli eletti del Prc a Montecitorio. Detto ciò, l’impegno rappresentato dal carattere ultimativo delle parole del segretario del partito ieri in Aula è stato registrato: e con molta condivisione, anche emotiva e anche fra quanti nel gruppo avevano sostenuto la possibilità di votare “no” alla fiducia. Dunque l’atmosfera è quella, come si può capire piuttosto intensa, d’una attesa attenta ed attiva da parte di tutti: perché riguarda il destino stesso del Prc, maggiore forza di quella sinistra che discute di unità ma che al contempo deve rispondere al problema, ormai in primo piano, del bilancio dell’esperienza governativa.
Distintamente, Cannavò ha messo agli atti con la sua dichiarazione di voto di valutare la fiducia di ieri come l’«esito fallimentare di una strategia sbagliata che si illudeva che non Prodi “il Paese sarebbe cambiato davvero”», ne trae il giudizio che «per la Sinistra è una Caporetto» e «per Rifondazione si chiude il senso stesso della propria esistenza» e coerentemente definisce il proprio “no” una «frattura con l’appartenenza al mio gruppo». Ma sia quanti avevano nella riunione dell’altro ieri sostenuto il “no” per conformarsi poi alla scelta della maggioranza sia quanti l’avevano appunto ratificata votando per la proposta di “sì” per «vincolo sociale» avanzata dalla segreteria, ieri si interrogavano sullo stesso problema. E cioè: come si fa, ora, a realizzare la verifica promessa?Tra i primi con il dubbio, quando non una certezza manifestata polemicamente, che si tratti di uno strumento spuntato. In Aula prende la parola a sua volta un esponente della minoranza de “l’Ernesto” come Gian Luigi Pegolo, a dire che già l’imposizione della fiducia «vuol dire che sono venute meno le condizioni minime che giustificavano la presenza del mio partito e delle altre forze di sinistra nel governo». Ma anche oltre i confini delle minoranza c’è chi chiede la messa all’ordine del giorno d’un bilancio politico netto. E l’indipendente Francesco Caruso, personalmente, la mette così, con un po’ di colore: «Per quel che mi riguarda il governo Prodi d’ora in poi si può considerare a pieno titolo un precario con il contratto a termine scaduto».Poi, fra quanti alla verifica danno credito, ci sono le domande aperte sui mezzi per imporla ed ottenerla «vera». E’ d’altra parte quanto viene dibattuto nel confronto in corso nel gruppo dirigente del partito. Che dalla segreteria vedrà la composizione di un “dispositivo” da porre alla discussione della direzione nazionale, convocata per lunedì prossimo. Mentre ci sono organismi territoriali che cominciano a prendere la parola: come la segreteria regionale del Prc lombardo, che sulla «verifica» afferma che «non può attendere gennaio ma deve svilupparsi immediatamente». Ora o a gennaio, una esponente della maggioranza di partito come Elettra Deiana, convinta della decisione formale, chiosa a sua volta: «Per me si potrebbe e si dovrebbe, per imporre la verifica, anche sospendere l’intera delegazione del Prc nel governo». E Peppe De Cristofaro torna al senso di quel «basta» diversamente condiviso: «Oltre il programma, a non esistere più è l’Unione. E l’effetto destabilizzante della nascita del Pd non è un rischio, c’è già».
ROma, 29 novembre 2007

giovedì 29 novembre 2007

E' l'ultima possibilità


Pubblico qui sotto l'intervento di Franco Giordano Segretario nazionale PRC-SE. Questo è ciò che ha dichiarato ieri il Segretario nazionale durante il dibattito parlamentare sulla discussione sul protocollo del welfare!

Buona Lettura


Signor Presidente, voteremo a favore della fiducia solo per non far «scattare» la mannaia dello «scalone» Maroni, che impone a molte lavoratrici e a molti lavoratori un salto brusco di tre anni nell’attesa della pensione. Voteremo, dunque, per un vincolo sociale.Altri hanno giocato sulla pelle dei lavoratori con i loro intrighi di palazzo e di potere. Noi siamo anche moralmente diversi da loro. Non votiamo per un vincolo politico: quel vincolo si è dissolto da quando il Governo ha scelto di seguire poteri esterni alla sua maggioranza, fino a creare un’imbarazzante quanto inaudita messa in mora del Parlamento.
Perché questa fiducia? Siamo stati e siamo critici in merito alla proposta di riforma dello «scalone», perché alla fine è stata accettata la filosofia della destra sull’aumento dell’età pensionabile. Siamo stati ancora più critici sul tema della precarietà. Eppure, signor Presidente, abbiamo rispettato il responso del referendum e, con responsabilità, abbiamo lavorato per migliorare quel testo su entrambi i fronti. Vi è stato un voto comune unitario di tutta la coalizione. Avete cambiato il testo in cui si tutti riconoscevano con un gesto autoritario, figlio di una cultura neocorporativa.
Lei pensa che saranno contenti quei lavoratori che hanno votato «sì» al referendum, pensando di essere compresi, facendo tre turni, tra i lavoratori usuranti, mentre scopriranno di essere stati beffati? Chi manda a spiegarglielo in un ospedale, in una fonderia o alla Mirafiori? Ci va lei, Ministro Damiano? Ci va il senatore Dini? Pagherei il biglietto per assistere! La verità è che lì non vi sarà il pubblico di Ballarò ad applaudire.Chi manda a spiegare alle ragazze e ai ragazzi che, durante la campagna elettorale, hanno investito con tanto entusiasmo su un’alternativa al modello di precarietà di Berlusconi, che non c’è praticamente limite ai contratti a termine e che, tra un contratto a termine, un contratto interinale e altre «diavolerie», essi possono trascorrere tutta la vita senza essere mai stati stabilizzati? Glielo spiega Bombassei? Luca Cordero di Montezemolo?
Signor Presidente, lei forse ha equivocato le nostre parole, quando abbiamo affermato che il presidente di Confindustria guadagna almeno quanto mille dei suoi dipendenti: non volevamo certo affermare che il suo voto vale più di quello di tutti i lavoratori italiani.La malattia di questo Governo non risiede solo nella risicatezza dei numeri al Senato, ma in una perdita di autonomia verso Confindustria: lo si è visto a proposito del cuneo fiscale, dell’IRAP, dell’IRES e, oggi, della precarietà. Non siete liberi: quando la politica non è libera, è una politica morta.Dove sono in quest’aula tutti coloro che, quando difendevamo gli interessi previdenziali dei lavoratori, ci dicevano che le priorità erano i giovani? Il Partito Democratico ha qualcosa da affermare in proposito e sul futuro dei giovani?Non vi dice nulla quanto sta succedendo in Francia? È coerenza quella delle forze sindacali che oggi chiedono l’accettazione integrale del Protocollo e domani sono pronte a negoziare proprio su quel testo? Il modello di sviluppo che propone Confindustria porta questo Paese in un vicolo cieco: bassi salari, bassi livelli formativi, precarietà generalizzata. Inseguire loro nella contrazione del costo del lavoro e nella competitività di prezzo ci consegna una marginalità e non crea un’alternativa economica di qualità e di valorizzazione ambientale, mortificando risorse intellettuali e condannando i giovani a una precarietà esistenziale.
Presidente Prodi, non si occupi di Rifondazione Comunista e della sua unità: su questo tema ha già avuto modo di sbagliarsi nel passato.Si occupi del fatto che, negli ultimi cinque anni, i lavoratori dipendenti hanno perso ogni anno 1.900 euro, in media, del loro potere di acquisto. Si occupi dei sette milioni di lavoratori sotto i mille euro, la maggior parte precari. Si occupi dei centomila giovani che, ogni anno, migrano dal sud ai tanti nord del Paese, in situazioni di totale precarietà e di insicurezza nelle loro prospettive: altro che retorica sulla famiglia!Faccia rinvenire un po’ di risorse finanziarie con il recupero del fiscal drag e, a proposito di tasse, detassi gli aumenti contrattuali, così da facilitare lo sblocco dei contratti nazionali, che proprio Confindustria si ostina a non chiudere.
Nel Paese vi è una crisi sociale che non vedete, per inseguire le giravolte dei voltagabbana di turno. Così non si può andare avanti. Vi chiediamo formalmente tutti quanti, tutta la sinistra, per gennaio, una verifica politico-programmatica.Il programma con cui ci siamo presentati alle elezioni non esiste più: è pura archeologia industriale.Il 20 ottobre un milione di giovani e di lavoratori vi hanno chiesto di cambiare, con uno spirito unitario e una passione straordinaria: quel popolo e quei giovani non si meritano ciò che accade.
Da quella verifica impegnativa dipenderà la nostra collocazione politica: non illudetevi, al primo posto di tale verifica vi è proprio il tema della lotta alla precarietà, vi sono le questioni dirimenti della pace e della guerra, il tema del disarmo, la formazione, la ricerca, l’alternativa ambientale, i diritti civili - che, in virtù di veti di settori della coalizione, sono passati nel dimenticatoio - i diritti dei migranti, quelli della democrazia e, in particolar modo, della democrazia parlamentare, che oggi subisce uno smacco bruciante.Ella lo ha sentito: lo chiede tutta la sinistra, un terzo della sua coalizione.Si è definitivamente chiusa una fase.Bisogna cambiare, cambiare l’agenda e le priorità del lavoro e del Governo.
È l’ultima, e neanche certa, possibilità per ricostruire un rapporto con quella parte del Paese che non ce la fa più. Basta uscire fuori da questo palazzo o da quello qui a fianco per capire che il problema non è la tensione tra diplomazie della politica (sarebbe ben poca e misera cosa); è un problema di rapporto con una parte significativa e dolente della società, quella che non riuscite a vedere: i precari, la condizione operaia e tanta parte del lavoro dipendente.Noi non sprecheremo più un’occasione, cercate di non sprecarla voi, perché questa è proprio l’ultima.
Franco Giordano

mercoledì 28 novembre 2007

Nota dell´esecutivo nazionale dei Giovani Comunisti/e del PRC.

Nota dell´esecutivo nazionale dei Giovani Comunisti/e del PRC.
"Il protocollo sul welfare smentisce gli impegni presi in campagna elettorale da questo governo. La lotta contro la precarietà è stata sulla bocca di tutte le forze politiche durante la campagna elettorale ed era nel programma di governo.
Se questo è il risultato, evidentemente lo scollamento tra il governo e gli obiettivi che si era dato è drammaticamente grave. Questo provvedimento è in realtà del tutto inefficace ed infatti perpetua per un´intera generazione la prospettiva già assodata di una vita precaria.
Contemporaneamente attraverso l´accorpamento delle misure sul sistema pensionistico e di quelle su welfare e mercato del lavoro, il governo continua ad alimentare nel paese un presunto e strumentale conflitto generazionale che ci sentiamo di rifiutare in maniera netta.
Al di là della fiducia istituzionale che domani voteranno le camere, è certo che i precari e giovani non ripongono più le proprie aspettative in questo governo, le cui scelte non sono in sostanza condivise non solo in parlamento ma soprattutto nella società. Di una cosa siamo certi, la lotta contro la precarietà non si chiude domani, anzi trova nuove ragioni."
Roma 27.11.2007

martedì 27 novembre 2007

Ciao Maskio!

Riporto, purtropo con troppo ritardo, un articolo sula manifestazione di sabato scorso a Roma contro la violenza sulle donne. Chiedo scusa per non aver seguito e pubblicato in tempi utili sia l'appello, sia il materiale pubblicato dai media e compagne dopo la manifestazione! ;-(

Ci ha provato pure la pioggia a mettersi di mezzo, ma neanche il temporale iniziale è riuscito a bloccare le centocinquantamila donne che ieri sono scese in piazza a Roma per un corteo straordinario, radicale contro la violenza degli uomini, senza distinzione di passaporto, sulle donne di Lea Melandri - Angela Azzaro
Ci ha provato pure la pioggia a mettersi di mezzo, ma neanche il temporale iniziale è riuscito a bloccare le centocinquantamila donne che ieri sono scese in piazza a Roma per un corteo straordinario, radicale contro la violenza degli uomini, senza distinzione di passaporto, sulle donne.
Un successo inaspettato anche per le organizzatrici di una manifestazione autonoma da partiti e sindacati che è stata autorganizzata dai tanti collettivi, associazioni, centri antiviolenza che per un mese hanno lavorato per portare tutte queste realtà in piazza. Inaspettato successo anche per la radicalità del messaggio politico che ha puntato non sulle cosiddette vittime, ma sulla messa in discussione degli uomini e della famiglia, e che ha respinto al mittente le politiche sicuritarie e repressive del governo.
No alla famiglia, no al pacchetto sicurezza sono stati gli slogan più ripetuti, urlati dalle protagoniste del corteo. Slogan e richieste di cui nessuno si poteva appropriare, tanto meno quelle ministre che hanno firmato il pacchetto sicurezza e che continuano a difendere la famiglia. La reazione di molte donne al loro presenzialismo mediatico non poteva essere differente: di protesta contro le strumentalizzazioni, anche quelle di La7 che stava dando la parola al governo. Almeno per un giorno, uno, la politica istituzionale doveva fare un passo indietro e stare a sentire una voce collettiva.
La parola delle donne, la loro autonomia, la loro forza, era quello che ieri c'era in piazza ed è quello che fa paura, spaventa, terrorizza. L'incapacità di stare a sentire il protagonismo delle tante femministe racconta di una paura maschile a mettere in discussione il proprio potere. Forse anche per questa ragione, oltre alle dovute contestazioni alle ministre strappa applausi, il Tg1, cioè il telegiornale più seguito, è riuscito a mettere il servizio sul corteo, che pure era ben fatto, solo al dodicesimo posto. Quasi alla fine, sperando che un po' di italiani e di italiane avessero già spento il televisore.Ciò che dà fastidio - crea scandalo - è che le donne giunte da tutta Italia non hanno chiesto protezione o tutele.
Hanno parlato di rivoluzione nel rapporto tra i sessi, nella società, nella cultura, nella politica. E' stato un messaggio a tutto tondo, partito dalla critica alla violenza degli uomini che uccide le donne più di qualsiasi altra causa, per andare a toccare tutti i nodi della società e della politica.
Anche per questo la manifestazione di ieri non era, come tante ultimamente, silente. Era sì arrabbiata, ma appunto gioiosa, composta da generazioni diverse, da tante tantissime giovani, da giovanissime, con nel volto dipinto il simbolo femminista. Molti slogan, molti cori, molti visi sorridenti. Una lotta e un conflitto fatti col sorriso. Una manifestazione, hanno detto molte, come non se ne vedevano da trent'anni.
Adesso è il momento di assaporare il successo e di pensare ad un futuro, la cui molla non sono le leggi promesse all'ultimo momento o le leggi già scritte, come quella proposta dalla ministra Barbara Pollastrini criticata perché mette al centro non le donne, la loro libertà, ma la famiglia, ancora la sacra famiglia. Se proprio ci tiene la ministra, inizi un confronto vero con chi ha organizzato la manifestazione di ieri, non continui per la sua strada, azzeri invece il suo ddl e senta anche le nostre ragioni.
Tanti giornalisti hanno chiesto: e adesso che cosa volete? Forse si aspettavano una ricetta facile facile. Abbiamo detto che vogliamo la luna, vogliamo tutto e non vogliamo che in nostro nome si giustificano né politiche di guerra, né politiche repressive.
Non è un caso che il corteo è iniziato, prima dell'avvio vero e proprio, con una danza della ragazze rom. Un modo per ribadire la contrarietà delle manifestanti alla politica delle espulsioni e alla decisione del governo e di Veltroni di strumentalizzare l'uccisione di Giovanna Reggiani per mettere sotto accusa un intero popolo. L'obiettivo è un altro. Sono i mariti, i fidanzati, gli ex, è la famiglia come luogo in cui la violenza non solo avviene, ma in cui si origina, cresce, si alimenta. La giornata di ieri ci dice anche quanto questo messaggio sia passato, sia entrato in molte teste e in molti cuori. Non era una consapevolezza di poche. Era un senso comune che si respirava in tutto il corteo, negli slogan, nei discorsi. E vuol dire no alla violenza degli uomini, ma anche sì all'autodeterminazione delle donne, sì alla loro libertà, sì alla legge 194 e no alla legge sulla fecondazione assistita, che questo governo non ha nemmeno messo nel programma scritto prima delle elezioni e che ora difende a spada tratta. E' una legge fondamentalista, più fondamentalista di tanti paesi che critichiamo solo per giustificare le guerre, come anche la cronaca di ieri racconta.
Adesso è importante che tutta questa energia continui. Che non si disperda e che continui il lavoro collettivo, nel rispetto di tutte le storie e di tutte pratiche politiche. Ma è anche importante che la politica istituzionale, spenti i riflettori, non faccia di nuovo finta di nulla. Sarebbe davvero intollerabile. Oggi è la giornata mondiale contro la violenza degli uomini sulle donne. Che cosa vuol dire? Vuol dire che gli uomini devono smettere di fare finta di
nulla, quelli di destra e quelli di sinistra. Sono loro adesso che devono prendere parola pubblica, fare autocoscienza, dire qualcosa. Un silenzio maschile prolungato non solo non è più ammissibile, ma ormai patetico. E non significa fare i mea culpa, battersi il petto, ma farsi da parte, cedere il proprio potere, metterlo in discussione. Quanti saranno in grado di farlo?

lunedì 19 novembre 2007

G8 IN SARDEGNA. MARTONE (PRC) VOTA NO IN FINANZIARIA

Ricevo e pubblico seppur in ritardo le dichiarazioni del Senatore del Prc-Se Francesco Martone eletto nelle liste della Sardegna.


“Ritengo assurdo tenere il vertice del G8 in Sardegna, a La Maddalena, per vari motivi.” È quanto dichiara il senatore di Rifondazione Comunista eletto in Sardegna, Francesco Martone, che incalza “Sono contrario a questo evento ed ai 30 milioni stanziati in Finanziaria per la sua organizzazione, come ho avuto occasione di sottolineare in Aula. Vorrei rilevale come la formula del G8 sia oramai vetustà, obsoleta e non risponda più a quegli obiettivi di democratizzazione della governance globale che pure il nostro Governo vuole sostenere a livello di Nazioni Unite.” “Credo sia giunto il momento di pensare veramente a qualcosa di diverso da una vecchia formula, non democratica, che tra l'altro si esaurisce sempre con dichiarazioni di principio mai seguite da atti concreti: ad una formula maggiormente inclusiva che rientri nell'alveo delle Nazioni Unite e permetta veramente la costruzione di un sistema di governance globale democratico e multipolare". Conclude il parlamentare di Rifondazione. Infine Martone annuncia la sua adesione alla manifestazione che si terrà a Genova sabato 17 novembre, contro chi sta tentando di riscrivere la storia stravolgendone i fatti e le testimonianze, quelle di 300.000 persone che scesero in piazza nel 2001 contro i padroni del mondo.

Comunicato stampa su detenuto turco Avni Er recluso a Baddu è Carros.

ricevo e pubblico molto volentieri il comunicato stampa di Ciriaco Davoli scritto dopo l'incontro con Avni Er, detenuto Turco recluso a Badu e Carros


Consiglio Regionale della Sardegna
XIII^ Legislatura
Gruppo PRC-SE - Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea


COMUNICATO STAMPA

Il consigliere regionale del PRC-SE, Ciriaco Davoli, si è recato, lo scorso lunedì 12 novembre, al carcere di Badu è Carros per incontrare il detenuto turco Avni Er, militante dell'organizzazione della sinistra turca DHKPC, per verificarne le condizioni di salute e conoscere nei dettagli gli elementi più importanti del caso di cui è oggettivamente protagonista. Avni è stato condannato dal tribunale di Perugia in quanto avrebbe costituito, nella regione Umbra, una cellula del DHKPC, inserita nella "lista nera" delle organizzazioni terroristiche dell'Unione Europea. Condannato a sette anni dal tribunale di Perugia, venne trasferito dal carcere romano di Rebibbia a quello nuorese di Badu è Carros, creandogli, in questo modo, grossi problemi di comunicazione con il suo legale nella ricerca della linea difensiva. Avni, agendo nella sua attività politica alla luce del sole, ha sempre svolto un lavoro di diffusione e controinformazione sulla tragica situazione in cui si trovano, ancora oggi, i dissidenti turchi e ogni tipo di repressione e di persecuzione fisica che subiscono sistematicamente. Già la condanna sulla sola base di prove indiziarie al processo di primo grado del tribunale di Perugia è di per se gravissimo, sarebbe inaccettabile se venisse concessa l'estradizione di Avni, come richiesto dalle autorità turche, con la semplice giustificazione della lotta al terrorismo internazionale, mascherando quelli che realmente sono gli interessi economici tra i due Stati.

Tutti conoscono la situazione delle carceri turche e le modalità di repressione del dissenso. La Turchia occupa i primi posti nella classifica mondiale della violazione dei diritti umani, denunciati ripetutamente non solo da Amnesty International, ma anche dalla commissione ONU e da tante altre diverse organizzazioni mondiali, e non, che operano a sostegno del rispetto della persona. Ancora oggi, nonostante le numerose richieste di abolizione della pena di morte da parte della Comunità Europea, il Governo turco non ha minimamente preso in considerazione la proposta.
Si può facilmente immaginare il trattamento che sarà riservato ad Avni Er, considerato terrorista e nemico dello Stato turco. E' necessario, allora, che tutti i democratici si mobilitino e chiedano al Ministro Mastella di rifiutare l'estradizione proprio perché sussiste, concretamente, per il detenuto di essere sottoposto a torture o a trattamenti disumani.

Seminario formazione


Ricevo e pubblico

venerdì 16 novembre 2007

la cultura non si vende

17 Novembre ore 9.00 nei pressi del Quadrivio raduno per la manifestazione studentesca!

Il 17 Novembre scenderemo in piazza anche noi! Insieme ai e alle compagne dell'UDS riprenderemo le nostre città per ribadire che la cultura è un diritto che non si vende e non si compra.
Grideremo che:
- Crediamo in un miglioramento strutturale delle scuole e delle università
- Crediamo in un miglioramento dei rapporti di potere tra studenti e doceti, sottolineando la centralità dello studente nella vita scolastica
- Crediamo che tutte le riforme a partire dalla Berlinguer-Zecchino, passando per la Moratti ed arrivando alle modifiche Fioroni, siano fallimentari e non rispettino i diritti del vivere sociale e non rispettano lo studente e la sua formazione
- Crediamo fortemente che debba venir fuori la verità su Genova, pretendiamo verità sui fatti dei giorni in cui sono stati massacrati numerosi manifestanti ed è stato ucciso Carlo Giuliani reo unicamente di aver preso parte alla contestazione contro gli otto potenti
- Crediamo, infine, che chiarezza vada fatta sulla situazione dell'Università Nuorese, grideremo ad alta voce per tutelareciò che oggi esiste, e pretendere che in futuro a Nuoro si crei un polo universitario autonomo rispetto a quello di Cagliari e Sassari capace di dare risposte agli oltre tre mila circa studenti fuori sede costretti a lasciare la propria provincia per continuare gli studi!

Per questo, scenderemo in piazza, per rivendicare i nostri diritti, il nostro futuro e la nostra vita!
L'invito è rivolto a tutti e tutte i ragazzi che condividono la nostra piattaforma!
Una scuola diversa è possibile!

mercoledì 14 novembre 2007

17 Novembre:Tutti in Piazza!

Trovo sul sito nazionale dei GC e pubblico questo appello per la giornata del 17 Novembre. A parer mio questa data segnerà una svolta politica per il movimento studentesco che riscenderà ancora una volta in piazza per chiedere diritti e per chiedere di essere pratagonista della vita scolastica e non passivo compratore di cultura. Inoltre questa data rappresenta anche la nuova battaglia perchè si faccia chiarezza a distanza di 6 anni sui fatti di Genova!

Siamo studentesse e studenti delle scuole e delle università Italiane, il 17 novembre nella giornata internazionale di mobilitazione studentesche manifesteremo in tutte le città Italiane per rivendicare il diritto ad una formazione libera, pubblica, di qualità, per l’ accesso alla conoscenza in tutte le sue forme, per il diritto allo studio, al reddito, alla democrazia. Ci considerano utenti, consumatori passivi, fruitori di conoscenze e di saperi ridotti a merci, continuano a votare riforme e decreti sulla scuola e sull’università senza tenere conto delle nostre decisioni, dei nostri desideri. Vogliamo riprenderci la parola per riprenderci la politica, la partecipazione, la democrazia.Per noi Genova 2001 è stato questo. Un sogno collettivo, un altro mondo possibile, un mondo fatto di pace, di diritti, di uomini e di donne e non solo di profitti e mercato. Siamo la generazione che ha scoperto la politica dopo le giornate Genovesi, fisse nelle nostre menti ci sono le immagini di quelle giornate straordinarie e drammatiche, abbiamo visto la gioia della contestazione agli 8 padroni della terra, la violenza della repressione, la morte in diretta di Carlo un ragazzo che non abbiamo mai conosciuto ma che sentiamo come un nostro fratello, abbiamo sentito la paura nelle aule della Diaz e nella caserme Bolzaneto.Questa è la storia di Genova, questa è la nostra storia.Oggi qualcuno vorrebbe riscrivere quelle giornate nelle fredde aule di un tribunale, oggi qualcuno vorrebbe imputare a 25 persone tutto quello che in quei giorni è accaduto. Centinaia di anni di galera, centinaia di migliaia di euro di danni, reati anacronostici di “concorso in devastazione e saccheggio”: rifiutiamo la logica del capro espiatorio e continuiamo a chiedere verità e giustizia sulla tragica gestione dell’ordine pubblico durante le giornate genovesi. Vogliamo che il parlamento come promesso nel programma dell’Unione istituisca subito la commissione di inchiesta su Genova per svelare le responsabilità nella catena di comando delle forze dell’ordine e indagare finalmente sulla sospensione dei diritti democratici da molti, tra cui amnesty international, denunciata.. Siamo tutti colpevoli di sognare un altro mondo, siamo tutti colpevoli di volere una vita fuori dal neoliberismo e dalla guerra, siamo tutti colpevoli di disobbedire alle leggi ingiuste con cui controllano la nostra vita, le nostre scuole e le nostre università. Per questo lanciamo un appello a generalizzare i contenuti della manifestazione di Genova in tutte le manifestazioni studentesche che si svolgeranno in quella giornata per questo lanciamo un appello alla costruzione di uno spezzone studentesco nella manifestazione che il 17 a Genova ribadirà: la storia siamo noi.

http://gc.rifondagenova.net/index.php?option=com_content&task=view&id=584&Itemid=33
In questo indirizzo troverete il volantino e il manifesto nazionale.
saluti comunisti Paolo

domenica 11 novembre 2007

Questione di Genere..Questione di Civilta!


Ricevo e pubblico l'ottimo intervento di Patrizia, Responsabile delle Politiche di Genere della Segreteria Provinciale di Nuoro


La violenza subita da Giovanna Reggiani e la sua morte, non devono diventare un pretesto per una campagna d’odio e razzismo. Chi come noi da anni si batte contro la violenza subita dalle donne , non può non rimanere disgustata dalla strumentale e scomposta reazione di fronte all’ennesimo femminicidio nel nostro Paese. All’orrore per l’orrendo crimine compiuto contro Giovanna si aggiunge l’orrore per la “ caccia al romeno” che ha preso il via dall’intervento del governo contro i campi nomadi ed è proseguita come un’onda nera nelle aggressioni squadriste agli stranieri.
La violenza sulle donne non è prerogativa dei romeni, il fatto che l’aggressività maschile sia la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne in tutto il mondo , deve essere sempre presente nella visione complessiva di un dramma che travalica le differenze etniche, linguistiche e religiose. Non dobbiamo permettere a nessuno l’utilizzo strumentale della morte di una donna. Per noi la morte di Giovanna non è, purtroppo, diversa dalle altre centinaia di morti e violenze che le donne subiscono ogni giorno nel nostro paese e nel mondo, il fatto che sia stato commesso da un romeno non aggiunge orrore all’orrore.
Non esiste una specificità del problema rispetto ad una sola etnia, questa è stata montata ad ‘arte dai media a da qualche sciagurato politico, che ha sfruttato la morte di una donna per raggiungere obbiettivi che niente hanno a che vedere con la lotta alla violenza contro le donne.
Noi non dobbiamo permettere che l’ennesima tragedia venga utilizzata per colpire migliaia di donne, uomini e bambini che vivono in condizioni di estrema indigenza nel nostro Paese.
Che la colpa personale di un individuo venga fatta ricadere su un intero gruppo etnico, ci rimanda con la memoria a scenari d’altri tempi che vorremo francamente non rivivere.
La violenza contro le donne va combattuta ogni giorno con un reale cambiamento culturale nel nostro paese, non saranno certo le espulsioni o gli sgomberi degli stranieri a fermare il Femminicidio.
La maggior parte delle violenze si consuma muta tra le mura domestiche e a compierle sono mariti, conviventi parenti e amici. Dobbiamo partire da questo dato se realmente vogliamo cambiare le cose, bisogna parlare, discutere e cercare soluzioni per fermare la mano di questi aguzzini .
Il cambiamento deve partire dalle scuole, dalle famiglie nella società. Nelle scuole si devono programmare lezioni che educhino alla riscoperta e al rispetto della “differenza” tra i generi; nella società, nella politica si deve operare un reale cambiamento nel la distribuzione dei ruoli tra i generi, che per le donne troppo spesso i mass media ci trasmettono come solo ornamentale.






Patrizia Ruiu
Dipartimento politiche di Genere
Segreteria Provinciale Prc-Se

mercoledì 7 novembre 2007

..Questione sicurezza??!!

Trovo e pubblico un intervento di Agnoletto sul decreto delle espulsioni


«Il decreto sulle espulsioni non rispetta alcuni principi della direttiva europea n.38 del 2004» così Vittorio Agnoletto, eurodeputato della Sinistra Europea. «Per questo motivo settimana prossima, in occasione della prossima sessione plenaria del Parlamento Europeo, presenterò un’interrogazione a Commissione e Consiglio europei, nella quale chiederò se il decreto emanato dall’Italia è compatibile con i dettami della direttiva comunitaria.
L’elemento che non convince è in primo luogo la motivazione dell’espulsione: la direttiva è molto chiara. Non esiste l’espulsione preventiva per persone potenzialmente autrici di reati, la pericolosità dei cittadini va accertata. Si legge infatti nel testo della direttiva: «il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».
L’Europa garantisce inoltre al cittadino comunitario la possibilità di ricorrere contro l’espulsione: «In ogni caso – è scritto nel testo–il cittadino dell’Unione e i suoi familiari dovrebbero poter presentare ricorso giurisdizionale ove venga loro negato il diritto d’ingresso o di soggiorno in un altro Stato membro». Quindi, salvo casi gravi, non è prevista come pratica corrente nessuna espulsione immediata.
Infine, «i cittadini dell’Unione dovrebbero aver il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità», come continua la direttiva. Solo dopo tale periodo, previsto come necessario per cercare lavoro, dovranno dimostrare di aver trovato di che sostenersi» conclude Agnoletto.

giovedì 1 novembre 2007

Convocazione Coordinamento provinciale GC


E' convocato per Domenica 4 Novembre alle ore 17,30 il coordinamento Provinciale dei Giovani Comunisti.

La riunione si terrà nei locali della Federazione di Nuoro e si discutteranno i seguenti Odg:

1- Situazione politica Nazionale

2- Situazione politica Regionale e Provinciale

3-Discussione sullo stato dell'Università Nuorese - Organizzazione 17 Novembre (giornata dello studente)

4- Possibilità costruzione future manifestazioni

5- Varie ed eventuali


Chiediamo a tutt* i/le Compagn* di partecipare numerosi e di avvisare tempestivamente di una loro possibile assenza.

Come sempre sono invitat* tutt* i/le compagn* che pur non facendo parte dell'organismo vogliano partecipare alla discussione.

Saluti comunisti i Portavoce : Paolo Meloni e Claudia Seddone

mercoledì 31 ottobre 2007

E' scattata l'ora X. Una riflessione-post 12 Ottobre

Ho trovato questo ottimo contributo sul sito nazionale dei gc a firma del responsabile scuola ed università, che seppur riferendosi a diversi giorni fà trovo ottimo spunto di discussione



di Domenico Ragozzino*

Non è l’ora X invocata dal ministro Fioroni, quella degli esami di riparazione, e non aspetterà il fatidico 31 agosto per entrare in vigore.
L’ora X è già qui, nell’aria delle scuole, nei visi preoccupati, stupiti ed arrabbiati degli studenti, nelle assemblee che si moltiplicano irrompendo nel tempo e nella routine.
L’autunno è cominciato, venerdi’ 12 ottobre le oltre 100 manifestazioni studentesche in tutta Italia sono state il prologo di una stagione che vogliamo rimetta al centro dell’agenda politica l’accesso ai saperi come un diritto di cittadinanza e la necessità di una riforma organica e partecipata della scuola e dell’ università.

Il decreto sugli esami di riparazione, deciso nel chiuso di una stanza ed annunciato con una conferenza stampa, è soltanto l’ ultimo provvedimento voluto dal ministro Fioroni, che senza nessun confronto e senza nessuna consultazione è stato imposto nel corso dell’ anno accademico.
Tanta retorica in un provvedimento che riporta nel passato la scuola italiana. Un provvedimento che, pur tra le invocazioni all’autorità ed alla severità, non risolve i problemi dei corsi di recupero, del modo perverso con cui vengono organizzati, dell’ assenza di finanziamenti straordinari per la formazione, che viene, invece, gestita dalle scuole e dagli enti privati. Enti privati che, dal canto loro, soffrono di uno strutturale conflitto di interessi, mentre garantiscono la formazione ed il recupero hanno la possibilità di interferire attraverso i consigli di amministrazione nelle scelte didattiche e nel organizzazione dello studio. Gramsci diceva che la cultura della destra è impregnata di mercato e di profitto ma la sinistra o basa la sua politica sulla cultura e la conoscenza o rischia di rincorrere le destre sui suoi temi.
E’ per una chiara inversione di tendenza del governo che continueremo ad essere nelle piazze. Per questo lo sciopero studentesco non può avere fine il 12 ottobre, ma deve diffondersi nelle scuole e nelle facoltà, estendersi nella consapevolezza ed alla partecipazione di ogni student*, attraversare la manifestazione del 20 ottobre contro la precarietà con uno spezzone del mondo della conoscenza e quella del 17 novembre per la liberazione dei saperi.
Abrogare la riforma Moratti e l’ alternanza scuola lavoro, investire nella scuola pubblica, nel diritto allo studio, nell’edilizia scolastica, in un reddito per tutti i soggetti in formazione: questo è il mandato che ha ricevuto il ministro Fioroni, questa la domanda di cambiamento che ha abitato i territori della formazione negli anni dell’opposizione alla Moratti, questa l’ unica strategia per garantire una scuola inclusiva per tutti.
Oggi bisogna tradurre questa presa di parola collettiva in un progetto politico, in un modello di formazione della sinistra. E’ con questa ambizione ha preso vita il progetto politico di student*sX il network nazionale studentesco che a Roma in un assemblea nazionale ha rimesso in connessione collettivi e reti di studenti di sinistra, per rilanciare le prospettive dell’ autunno, per autoconvocare gli stati generali della conoscenza come unico luogo legittimato a scrivere un nuovo modello di formazione.
E’ di questo che abbiamo bisogno. La politica delle piccole riforme, del “cacciavite” non offre risposte adeguate alla crisi sociale in cui versa la nostra generazione, ai disastri prodotti dalla Moratti. Infatti la scuola e le università sono i luoghi dove nasce e si sviluppa la democrazia, la coscienza critica, dove si introiettano gli strumenti di elaborazione, di un interpretazione individuale e collettiva della realtà. Nei tanti sud del nostro paese, nelle periferie, i templi del sapere rappresentano un microcosmo di ricomposizione sociale, dove si materializzano e prendono vita le contraddizioni, le solitudini, le violenze, i mille volti della precarietà che accompagnano la condizione giovanile. La nostra generazione vive una crisi profonda, un intero anno scolastico è stato raccontato dalla crudezza della cronaca nera, bullismo, omofobia, overdose e suicidi senza che la politica oltre a scandalizzarsi, montare telecamere ed affidare la sicurezza a poliziotti in borghese ed a provvedimenti disciplinari sia intervenuta. Noi nella nostra parzialità vogliamo partire dalle aule autogestite,dalle scuole dell’ antimafia sociale, spazi pubblici aperti nel pomeriggio ai territori consapevoli che nessun CEPU e nessun ente privato potranno offrire un alternativa.

* Resp. nazionale studenti G.C.

lunedì 29 ottobre 2007

La cultura è ricchezza, non facciamo portare via anche quella!

LA PROTESTA «Uniti per difendere l’ateneo a rischio»

NUORO. «Le notizie che continuano ad apparire sui quotidiani locali in questi giorni ci allarmano». I Giovani comunisti si sentono in dovere di difendere il polo universitario nuorese «coscienti del fatto che quel centro rappresenta un punto di riferimento per tutti quegli studenti che per ragioni socio-economico o personali hanno scelto di frequentare i corsi nel capoluogo Barbaricino». Per loro quindi l’università va difesa con l’impegno di tutti e tutte, come «ricchezza culturale» da non perdere e che in prospettiva vorrebbero vedere crescere e migliorare. «Sono tanti infatti gli studenti fuori sede provenienti da Nuoro e provincia - aggiungono nella nota - che affollano i due poli di Cagliari e Sassari. Stiamo parlando di numerose famiglie che fanno grandi sacrifici economici per poter permettere ai loro giovani figli di poter proseguire i loro studi, famiglie che sborsano innumerevoli soldi in vitto, alloggio, libri e mezzi di trasporto». E tutto perché nella provincia non si riesce a costruire un polo che possa garantire dei «corsi formativi capaci di rispondere alle esigenze» del bacino d’utenza provinciale e non.
«Noi siamo e saremo affianco agli studenti dei due corsi distaccati di scienze politiche - affermano Paolo Meloni e Claudia Seddone - e ci impegneremo in qualsiasi percorso di lotta loro vogliono intraprendere, perché sia come studenti universitari sia come giovani della provincia di Nuoro conosciamo e comprendiamo la loro situazione».
I Giovani comunisti invitano pertanto la società e tutte le forze politiche a unirsi «perchè si salvino questi corsi e perché in futuro non tanto prossimo Nuoro diventi un reale polo universitario capace di dare oltre alla diversificazione di corsi, la possibilità di accedere a servizi per gli studenti».
Per loro l’obbiettivo deve essere quello di garantire ad una popolazione già abbastanza martoriata dalla crisi industriale e agricola un diritto minimo che si chiama libero accesso ai saperi.
«Questo un bene - concludono - che già paghiamo a caro prezzo quando si pagano le tasse universitarie, un bene comune che nella nostra provincia va difeso con tutti gli strumenti. La cultura è ricchezza, non facciamoci portare via anche quella!».

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